Siamo nel grande campo di
olivi a togliere l'assenzio, tra il freddo e i giochi dei bambini, le
loro fionde e i loro sconfusionati progetti. Il cielo si annuvola
sempre di più sui colli boscosi ormai forti dei colori scuri
dell'autunno. Moira e Argante, i due cani di Reggioli, interrompono
l'abituale zuffa, guardano verso la strada che porta a Solata, e poi
iniziamo a latrare ed abbaiare. Dal sentiero appare un'auto, poi
un'altra, poi un'altra, e poi ancora. Scendono cacciatori vestiti con
gilet fosforescenti, arancioni come evidenziatori. Uomini in branco
per sentirsi più sicuri. Si addentrano nel bosco. Noi, che lavoriamo
un poco più in alto, li vediamo chiaramente. Sono macchie sgradite.
I cavalli restano in tensione tutto il giorno, le orecchie quasi
distese all'indietro, lo sguardo all'erta. Gli urli dei cacciatori
non spaventano solo i cinghiali, gli spari dei loro fucili non si
fermano fino al buio. L'energia che emanano questi uomini è potente,
è negativa, è quella di coloro che scelgono ad ogni battuta di
caccia di spargere le loro cartucce per terra nei boschi dopo aver
sparato. É un gesto più da forti uomini che quello civile di
mettere in tasca la propria plastica. I bimbi quando trovano una
cartuccia la portano a mamma Lucile, lei le accumula e quando ne ha
un sacchetto pieno ne fa splendidi cartelli di legno, li pirografa
scrivendo “frutti di bosco” e vi attacca come pendenti file e
file di cartucce vuote. Poi paziente appende i cartelli agli alberi
più alti, di modo che i cacciatori possano vedere la varietà di
colori che lasciano in giro. Ma invece i cacciatori li staccano e li
buttano via. Lei, con la costanza dei giusti, li rifà e li
riappende. E così via, da anni.
Negli anni Settanta di
cinghiali, nel Chianti, non ce n'erano quasi più. Li avevano
cacciati quasi tutti per portarli sulle tavole dei ristoranti. Erano
dei cinghialetti di ottanta chili, selvatici e schivi. Non si
addentravano quasi mai nei campi coltivati. Rimanevano nei boschi a
mangiare ghiande di quercia. Poi qualcuno decise di inserire un
sostituto: un cinghiale dell'Est Europa incrociato con il maiale
domestico. Adesso questi bestioni, che arrivano a pesare anche
duecento chili, non avendo antagonisti naturali, hanno infestato i
boschi del Chianti, Grufolano e scavano profonde buche, voraci come
suini, e distruggono gli orti. Per arginare l'invasione, è stata
reinserita una specie di lupo autoctona, il lupo del Chianti. Ma
questi lupi, di razza piccola, poco possono contro i grossi wild
pigs dell'Est. Così hanno
ripiegato sulle quiete pecore dei greggi. E ne fanno strage. Cercando
di rimediare ad un danno se n'è fatto un altro. Chi ne fa le spese è
sempre il contadino.
Ci sono giorni così,
come oggi, in cui nelle terre di Reggioli, per ore e ore i
cacciatori battono il bosco e uccidono i cinghiali. Ne hanno il
legale diritto, non si può dire nulla. Ci sentiamo circondati,
leghiamo i cani perché non vadano a cacciarsi nei guai, aspettiamo
che il buio mandi via i disturbatori e che la notte ridoni il
silenzio. A Lucile e Christian non piacciono i cacciatori. Ma sanno
che la loro presenza, per quanto infelice e scomoda, è necessaria
per contenere l'invasione di questo animale.
L'indomani una jeep
strombazzante appare davanti a casa. Un cacciatore sulla settantina e
sua moglie sono venuti a pagare il pegno a Lucile e a Christian: un
cucciolo di cinghiale ucciso proprio ieri nelle loro terre, già
scuoiato. Ha ancora i peli scuri appena sopra gli zoccoli e sgocciola
sangue mentre lo spostano. Gentilezza e cortesia, due battute e due
frasi di circostanza, e poi ognuno per la sua strada.