Friday 19 December 2014

Frutti di bosco, cacciatori e cani.

Siamo nel grande campo di olivi a togliere l'assenzio, tra il freddo e i giochi dei bambini, le loro fionde e i loro sconfusionati progetti. Il cielo si annuvola sempre di più sui colli boscosi ormai forti dei colori scuri dell'autunno. Moira e Argante, i due cani di Reggioli, interrompono l'abituale zuffa, guardano verso la strada che porta a Solata, e poi iniziamo a latrare ed abbaiare. Dal sentiero appare un'auto, poi un'altra, poi un'altra, e poi ancora. Scendono cacciatori vestiti con gilet fosforescenti, arancioni come evidenziatori. Uomini in branco per sentirsi più sicuri. Si addentrano nel bosco. Noi, che lavoriamo un poco più in alto, li vediamo chiaramente. Sono macchie sgradite. I cavalli restano in tensione tutto il giorno, le orecchie quasi distese all'indietro, lo sguardo all'erta. Gli urli dei cacciatori non spaventano solo i cinghiali, gli spari dei loro fucili non si fermano fino al buio. L'energia che emanano questi uomini è potente, è negativa, è quella di coloro che scelgono ad ogni battuta di caccia di spargere le loro cartucce per terra nei boschi dopo aver sparato. É un gesto più da forti uomini che quello civile di mettere in tasca la propria plastica. I bimbi quando trovano una cartuccia la portano a mamma Lucile, lei le accumula e quando ne ha un sacchetto pieno ne fa splendidi cartelli di legno, li pirografa scrivendo “frutti di bosco” e vi attacca come pendenti file e file di cartucce vuote. Poi paziente appende i cartelli agli alberi più alti, di modo che i cacciatori possano vedere la varietà di colori che lasciano in giro. Ma invece i cacciatori li staccano e li buttano via. Lei, con la costanza dei giusti, li rifà e li riappende. E così via, da anni.
Negli anni Settanta di cinghiali, nel Chianti, non ce n'erano quasi più. Li avevano cacciati quasi tutti per portarli sulle tavole dei ristoranti. Erano dei cinghialetti di ottanta chili, selvatici e schivi. Non si addentravano quasi mai nei campi coltivati. Rimanevano nei boschi a mangiare ghiande di quercia. Poi qualcuno decise di inserire un sostituto: un cinghiale dell'Est Europa incrociato con il maiale domestico. Adesso questi bestioni, che arrivano a pesare anche duecento chili, non avendo antagonisti naturali, hanno infestato i boschi del Chianti, Grufolano e scavano profonde buche, voraci come suini, e distruggono gli orti. Per arginare l'invasione, è stata reinserita una specie di lupo autoctona, il lupo del Chianti. Ma questi lupi, di razza piccola, poco possono contro i grossi wild pigs dell'Est. Così hanno ripiegato sulle quiete pecore dei greggi. E ne fanno strage. Cercando di rimediare ad un danno se n'è fatto un altro. Chi ne fa le spese è sempre il contadino.
Ci sono giorni così, come oggi, in cui nelle terre di Reggioli, per ore e ore i cacciatori battono il bosco e uccidono i cinghiali. Ne hanno il legale diritto, non si può dire nulla. Ci sentiamo circondati, leghiamo i cani perché non vadano a cacciarsi nei guai, aspettiamo che il buio mandi via i disturbatori e che la notte ridoni il silenzio. A Lucile e Christian non piacciono i cacciatori. Ma sanno che la loro presenza, per quanto infelice e scomoda, è necessaria per contenere l'invasione di questo animale.
L'indomani una jeep strombazzante appare davanti a casa. Un cacciatore sulla settantina e sua moglie sono venuti a pagare il pegno a Lucile e a Christian: un cucciolo di cinghiale ucciso proprio ieri nelle loro terre, già scuoiato. Ha ancora i peli scuri appena sopra gli zoccoli e sgocciola sangue mentre lo spostano. Gentilezza e cortesia, due battute e due frasi di circostanza, e poi ognuno per la sua strada.

Saturday 13 December 2014

Spine, cingoli e burrasche.

Liberare  un terrazzamento di trenta metri per cinque. La strategia è  quasi militare. Con le roncole e la sega ad arco liberiamo uno stretto passaggio tra i rovi ed i prugnoli selvatici, irti di spine lunghe anche un palmo. E' un lavoro lungo e faticoso. I rovi vanno ammucchiati bassi, i rami puliti ed accatastati. Dobbiamo disboscare lo spazio per lavorare ed ammucchiare le ramaglie. Ci impieghiamo un giorno intero in  quattro, per liberare una striscia di terra di quindici metri, larga forse due, dove poi Cris passerà con il cingolato e la fresa. Lucile ci porta il caffè, un bel sollievo per noi tutti, stanchi e graffiati. Poco prima di pranzo il battito secco del motore a scoppio viene a rompere il silenzio del bosco. I cingoli mordono la terra. I denti della fresa trinciano tutto. In un'ora il trattore libera quello che noi avremo impiegato forse due giorni a disboscare.
Roman ha lo sguardo sognante dei vent'anni e profondo dei ragazzi cresciuti in riva all'oceano. Bisogna sempre diffidare delle prime impressioni. Ci sembrava un ragazzino scapestrato, e invece è percettivo, intelligente, sensibile. Lo sguardo pare vacuo, in realtà è trasparente. I suoi occhi di castagno sono una finestra sul mare. É nato a Bordeaux, ma si è trasferito da piccolo in un paesino della Bretagna. Se n'è andato di casa due anni fa, per vedere il mondo. La sua compagna Monia è trentina, dolce, morbida e riccia. Determinata coraggiosa, ma ancora poco sicura di sé. Incinta al quinto mese, è presa tra i due sentimenti di felice e curiosa attesa, e di paure di mamma e di figlia.
Siamo in quattordici. La famiglia di Reggioli ne conta sei, con il lattante Yanru sette. Di wwoofer oltre a noi ci sono Ian, sua moglie Lila, e la piccola Viva. Vengono da Oakland, California. Poi ci sono Roman e Monia. Il podere è immenso, la casa è grande, i bimbi sono tanti ed anche i collaboratori, da nutrire e alloggiare. Poi c'è il cantiere che solo da quest'anno è davvero incominciato. La pressione su Christian e Lucile è alta. Il lavoro scorre bene, tra il verde dei castagni e degli ulivi. Ma la convivenza è dura. I cerchi stemperano le tensioni per un poco. Ci si confronta, si sputa l'osso, ci si riappacifica. Ma è pace effimera.

Thursday 11 December 2014

Artemisia Absinthium, pietre e Idaho special.

In un giorno umido di autunno cominciamo ad estirpare con sapienza minuzia e cattiveria l'assenzio. Il campo accanto e intorno all'orto ne è pieno, bisogna toglierlo. Diserbare a mano è lungo e duro, ripetitivo. Ripensiamo alla frase di nonno Nicola: “la terra ha un solo grande difetto: è bassa”. La schiena si lamenta dopo ore e ore di lavoro. La radice dell'assenzio a volte è lunga cinque volte la pianta.Si insinua fitta e penetra nell'argilla profonda. Sarchiarla a mano con la terra asciutta è impossibile. Ci aiutiamo con la zappa. I ciuffi di foglie ricamate d'argento spuntano un poco ovunque. Mentre cumuli di piante sradicate si ammucchiano, l'odore pungente della resina ci stordisce. Si sta chini per terra, facendosi carezzare da un caldo vento di novembre che sembra di fine estate. Ian l'americano scherza e ride, bonario e discreto. Sabot è parcheggiato sotto il mulino, e sta lì, a biancheggiare sotto il sole. Christian e Lucile litigano in casa, ogni tanto arriva un grido, poi si perde nel vento. Il battere dei martelli dei muratori risuona secco in lontananza. I lavori in corso proseguono, metà del casolare è in ristrutturazione. Ospiterà i workshop dell'associazione fondata da Lucile, a.s.i.n.o., antichi saperi incontrano nuovi orizzonti. I ragazzi ne sanno fare di cose: potatura, coltivazioni, lavorazione del cuoio, i saponi, pane. Inoltre Lucile è reduce da cinque parti in casa. Offriranno la possibilità alle donne di partorire qui a Reggioli, con l'aiuto di Lucile in veste di levatrice.
L'assenzio è duro e resistente. Infestante. Non è una pianta autoctona, è stato importato. Ha attraversato il Chianti su di un carretto di letame di pecora. Christian ha sparso il letame sul campo. In quel fertile ambiente i semi hanno germogliato, ora i campi di Reggioli sono pieni di ciuffi striati di verde e di grigio. Vanno eradicati tutti. Le bestie non mangiano l'assenzio, è amaro e tossico. Christian e Lucile, per esorcizzare l'invasione, hanno deciso di chiamare la loro figlia più piccola Artemisia di secondo nome. Il primo è Amanita, da tutti detta Minni. Lucile, da donna francese pratica e da parigina ottimista, usa le foglie per fare il vermouth.
Ora che il buio arriva presto, alle sei si è tutti in casa, si chiacchiera e si cucina, si cena e si va a dormire. Qualcuno suona, i bimbi gli djambé, i grandi la fisarmonica, qualcuno già sogna sul divano accanto alla stufa.

Dopo qualche giorno ci dedichiamo finalmente all'orto. Lì assenzio non ce n'è, però c'è da diserbare un poco. La struttura è quella dell'orto sinergico: quattro onde di terra a cumulo, separate da quattro canaline; la forma ricorda una lamiera ondulata. Il cippato di olivo le ricopre come una crosta, e le erbe spontanee sono libere di crescere ai bordi dei cumuli, per evitare l'erosione; le piante orticole sono mescolate in ordine sparso, perchè ognuna consuma e rilascia un diverso nutriente. Dopo tre porri trovi tre cavoli, con in mezzo le barbabietole, le foglie spinose del cardo mariano, con il fiore viola acceso; zucche e zucchini strisciano dappertutto, spandendo il giallo dei fiori che raccogliamo per friggere. Qua e là spuntano le ultime piante di fagioli, le più piccole, sfuggite alla raccolta. Le piantine verdi delle patate crescono spontanee e quasi si perdono tra la gramigna, che estirpiamo dalla cima delle cunette. Una volta pulito l'orto, piantiamo le insalate invernali. Sono piccole e fragili, le coccoliamo preparando il terreno smosso, morbido come un guanciale; le posiamo con delicatezza cercando di non spezzare le foglie, poi le ricopriamo di terra e di cippato di olivo. E tutto intorno stendiamo una coperta di erba secca.

Christian da alcuni giorni falcia l'erba per fare il fieno in un campo a pochi chilometri da casa. É di un amico contadino che ha bisogno di qualcuno che gli tenga pulito il terreno. Christian a sua volta ha bisogno di fieno, et voilà. Alla squadra di Reggioli si è aggiunta una famiglia americana di antiche origini italiane: Lila, Ian, e la loro bimba Viva, di nome e di fatto. Alcuni muretti a secco al podere hanno bisogno di manutenzione, e nel campo del fieno ci sono molte pietre che è meglio togliere. Partiamo dopo pranzo con il trattore per raggiungere il vasto prato, i cani corrono accanto, rapidissimi. Raccogliamo le pietre più piccole per liberare il terreno, quelle più grandi per le riparazioni dei muretti a secco. Quando si è tutti insieme in un posto nuovo l'eccitazione dei bambini è l'energia più bella, Gioian corre scalza nel prato, Minni si arrampica sul trattore, Elias è già in cabina di guida, Maelia usa i secchi come cappelli, si prova prima quello giallo, poi quello rosso. Sole invece prende un secchio e comincia a riempirlo di pietre, in barba all'appellativo di lavativo che gli viene spesso regalato. Per alcune pietre servono le sei braccia dei nostri tre uomini, per altre non bastano e le lasciamo nel campo. Mano a mano che terminiamo una zona Christian sposta il trattore nelle diverse parti nel campo. Dopo tre ore il rimorchio è pieno, i biscotti della merenda sono finiti, la luce sfuma e noi si torna verso casa.
La sera tardi, Andrea e Ian si ritrovano in camper, a fumare Idaho special e bere Ceres. Si parla della war on drugs, del Tav, e dei cinghiali di Reggioli. Si ride tanto facendo battute da commedia dell'assurdo.È stanco, Ian. Non di fatica, ma di pensieri. Il mulino a vento cigola sulle nostre teste, le stelle brillano chiare.

Sunday 9 November 2014

L'asino Gelsomino, le castagne e Albachiara.

Ventisei ottobre, Nusenna e la festa delle castagne. Domenica, c'è il sole e fa caldo per essere fine ottobre, ci svegliamo presto, mille preparativi per arrivare prima di pranzo al paesino. Ci sono da fare i castagnacci, da impacchettare collane e braccialetti, da preparare i bimbi, da portar su gli asini e sellarli; tutti attivi ed eccitati si lavora alacremente. Partiamo. Siamo tanti e caotici, quindici umani, tre asini, due cani, le chiacchiere e le scarpe che camminano sulla strada bianca. Un chilometro e la lasciamo per infilarci in un sentiero nel bosco. Dopo meno di un'ora arriviamo a Nusenna, minuscolo paesino che oggi accoglie la nona festa dei marroni. Piazza semi deserta, poche bancarelle che vendono zucche locali e vestiti da mercato made in Cina. E poi arriviamo noi. Sbuchiamo sulla piazza con i tre asini carichi di mercanzia, circondati da bambini, e con la coppia di circensi francesi amici di Lucile, che presto si esibiscono in piccoli numeri. I pochi presenti ci guardano stupiti. Una compagnia così fa effetto. I bambini “di città” si avvicinano subito incuriositi, vogliono accarezzare gli asini e salirci sopra, i grandi invece sorridono da lontano. Tanti hanno caldi piumini colorati, noi tutti in maglietta. Differenze. Non possiamo non notarle. Come anche la bianchezza dei loro visi, e quello sguardo strano, di chi ammira e vorrebbe, ma invece no. Ci installiamo: banchetto per vendere i marroni e i castagnacci, cavalletto per appendere i gioielli di Lucile, panche per sedersi. Gli animali chiusi in un cortile, a pascolare e a radere l'erba del prato. I bambini iniziano i loro giochi, noi ci guardiamo intorno sapendo di essere almeno per ora l'unica attrazione per i pochi partecipanti alla festa. Piano piano i primi coraggiosi si avvicinano, chiedono, parlano con noi. Dalla parte opposta della piazza, sotto un piccolo gazebo bianco, un uomo stonato e simpatico inizia a cantare canzoni fuori moda. Con lui diventeremo amici durante il pomeriggio. Molti dei nostri suonano vari strumenti, e presto ci invita: “Dai ragazzi! Una canzone io e una voi!”. Così ad un Gigi D'Alessio e ad un Celentano noi alterniamo canzoni popolari accompagnate da organetto e fisarmonica. Chiudiamo le danze con Bella Ciao. La giornata scorre, chi fa più affari sono i due ragazzi albanesi accanto a noi, vendono caldarroste e sono gentili. Stiamo bene, è per noi il primo ritorno in “città”. Nessun rimpianto per averla abbandonata.
Vino, racconti, anziani simpatici, complimenti a Lucile e a Christian per la loro bella famiglia, i castagnacci vengono venduti presto e i marroni pian piano anche, i gioielli sono ammirati. A fine pomeriggio il sole non batte più sulla piazza, cominciamo a sentire freddo: al circolo del paese compriamo del buon vino rosso locale, niente di meglio per scaldare i cuori. Tornati davanti al gazebo bianco, Andrea ed Ema si ritrovano con il microfono in mano a cantare Albachiara a squarciagola, senza omettere nessun “eeeeeeh....” di Vasco dalla canzone. Poi è il momento de L'albero dei cento piani, e, per chiudere tutti insieme, Viva la pappapappa col popopomodoro. E' sera davvero. Siamo stanchi, si reimpacchetta ogni cosa e ci si dirige verso casa, appena in tempo per non farci cogliere dal buio. Gli asini, Gelsomino in testa, cammino spediti, sanno che stiamo tornando al podere. Nusenna è dietro le spalle, qualche luce nelle colline boscose. A casa c'è il mulino che gira silenzioso cigolando, la stufa da accendere, la cena da preparare, i piccoli e i grandi da mettere a letto. Stanchi e felici, anche oggi.

Thursday 23 October 2014

Pescatori di olive.

Oggi si raccolgono le olive. Gli alberi sono a file sparse lungo i terrazzamenti. Macchie folte di foglie argentate. Solo da vicino e con la luce giusta si vedono i piccoli frutti, verdi e neri. Mettiamo la rete sotto gli alberi. Poi ci attacchiamo ad ogni rametto, e lo mungiamo come una mammella, sgranando le olive. Cascano sulla rete, grossi chicchi di grandine scura e calda. Della mosca già sapevamo. Ogni frutto ha un piccolo buco, da dove la larva ha iniziato a rodere, scavandolo e guastandolo. Christian e Lucile erano amareggiati da principio, perchè il raccolto sarebbe anche stato abbondante e magnifico, se non ci fosse il parassita. Christian e Lucile hanno deciso di tentare almeno una frantoiata di cinque quintali, non sanno se l'olio sarà buono, sperano di salvarsi quest'anno, e al peggio l'olio diventerà sapone. Mano a mano che proseguiamo la raccolta gli animi si fanno più distesi, lieti, allegri. Le reti si ricoprono di frutti, le casse si colmano. Gli olivi sono eccezionalmente robusti: a volte un albero poco più alto di un uomo ne regge quattro, a sgranare le cime arrampicati sulle branche più alte. Il legno si flette sotto il peso senza spezzarsi. Si lavora in gruppo, si chiacchiera, ci si conosce, si ride. I bambini ci orbitano attorno, a volte aiutano, altre intralciano, tra urli e sgambettii, e sempre alleggeriscono le ore. A volte invece si lavora in silenzio, i bimbi nei prati lontani o sul tappeto elastico, e noi in silenzio, con la mente cullata nella ripetitività dei gesti. C'è sempre fruscio di vento e di mani tra le foglie, e oggi il vento era forte: “Mi piace quando il vento è così forte che ti devi tenere ai rami per non cadere, mi sento come il capitano di una nave pirata”. Christian sorride, spettinato e sereno.
Gli uccelli che cantano, il rumore delle olive che cadono a pioggia sulle reti. Le ore volano, iniziamo vicino al crinale e proseguiamo intorno al colle, seguendo i filari, albero dopo albero, ogni pianta diversa dalla precedente. Anche la vista intorno cambia, un caleidoscopio che gira ad ogni fusto d'ulivo. Siamo prima vicino alle stalle, su di un pianoro che profuma di assenzio e letame di cavallo, di fieno e di sterco. Proseguiamo lungo una terrazza che affaccia sul bosco e odora di erba e rovi tagliati di fresco. Poi si ritorna sul clivo, uno spiazzo aperto sul cielo, le colline boscose si incrociano intorno, fin quasi dove la vista si perde, tra i greti brumosi del monte Amiata. Ci attacchiamo in sei su una bella pianta vigorosa, carica di olive. “Io scommetto che in tre quarti d'ora l'abbiamo finita!” esclama Lucile con il suo splendido accento francese. Vinciamo tutti insieme la scommessa. Dopo tre quarti d'ora raccogliamo le reti tutti insieme, e spigoliamo le foglie ed i rametti dai frutti. Siamo stanchi e felici, pensiamo a cosa cucinare, si scherza di menù immaginari. Le mani sono ancora tra le olive.

L'approdo, o Gelsomino e i magnifici sette.

Le sei di sera, arriviamo all'imbocco della strada sterrata, la riconosciamo subito. Vicino alla capanna verde e alla fermata della corriera, come ci aveva scritto Lucile. E' sterrato davvero il cammino, largo ma sconnesso, le piogge degli ultimi giorni si vedono nel pantano tra le pietre. Lanciamo Sabò all'arrembaggio, lui è proprio come ci aveva detto Nicolò, un carro armato che sale dappertutto. Sappiamo che tra nemmeno tre chilometri ci aspetta il podere, la famiglia, gli incontri, che emozione.
Ma il buio ad ottobre arriva sempre prima del previsto, e inizia anche a piovere, e Veronica inizia anche ad aver paura del buio, della strada sconnessa, del camper che oscilla, delle buche nel terreno, insomma di ribaltarci. E quindi desistiamo, spegniamo il motore, ci fermiamo in mezzo al sentiero “Tanto chi vuoi che passi di qui, domattina ci svegliamo e con la luce sarà tutto più facile”. Dormiamo come ghiri circondati da verdi boschi.
Alle sette del mattino un furgoncino bianco ci sveglia strombazzando: scopriremo poi che a Reggioli stanno ristrutturando una parte del podere, gli operai vanno al lavoro e noi siamo in mezzo ai piedi. In fretta e furia muoviamo il camper per lasciarli passare. All'ultimo sorso di caffè, un fuoristrada si ferma accanto a noi: al volante c'è Christian, gli occhi accesi di vita, il corpo vivo, aperto, accogliente. Il primo abbraccio di benvenuto. “Vi aspettavamo ieri sera!”. Poi riparte, faccende da sbrigare. Dopo poco vediamo dal finestrino un cucciolo di pastore maremmano, vicino c'è una bimba, dalla faccia scaltra e dolce, vispa e bellissima, in mano un ramo, in testa spettinati capelli neri, ai piedi crocs colorati. Gioian è la prima dei cinque “satelliti” di Reggioli che incontriamo. Le sorridiamo contenti.
Eccoci. Ci eravamo visti in foto. Loro sette, dal vero, sono ancora più belli. Ci annusiamo a vicenda, interesse da parte di tutti, curiosità, bellezza.
I primi due giorni ci infiliamo nei boschi, con i cestini a caccia di marroni. Quest'anno sono pochi e piccoli “Qui sotto i castagni gli altri anni ne trovavi tantissimi di marroni, non così pochi come adesso”, mi racconta Sole, dieci anni, un sempiterno sorriso, lo sguardo lontano, e già un milione di cose da insegnarci. Andare a marroni. Altro che la gita della domenica con la quale ti inganni di natura. Andare a marroni è l'asino Gelsomino con Minni sopra, gli altri bimbi che corrono avanti per farti vedere la strada. Andare a marroni sei tu fuori forma che ogni passo sulle foglie ti liberi di un pezzo di città. Il tallone dello scarpone preme il riccio, le dita si infilano per tirar fuori i marroni e le spine a volte si infilano nelle dita. Su e giù per il bosco, se segui i bimbi sei sicuro di andare sotto i castagni migliori. Parole, scherzi, barzellette, e anche prezioso silenzio. Le ore passano, i bambini si stufano presto dei marroni e il bosco diventa gioco e avventure per loro. Si torna a casa con il basto pieno, è andata abbastanza bene data l'annata scarsa. “Dalle piante tropicali che importano è arrivato questo parassita che attacca la pianta, per questo la raccolta è magra”ci racconta Christian. Poi a casa facciamo la cernita dei marroni: i brutti, i medi, e i belli. I primi sono per gli animali, i secondi per la famiglia, i terzi, grandi, lucidi e sani, sono quelli da vendere alla festa del paese la prossima domenica.
Che turbine di vita cinque bambini, che ricchezza crescere insieme e crescere in un posto così. Tornano in mente i giardinetti di città, quegli angoli di natura surrogata in cui ci rifugiavamo ogni pomeriggio con Maelia. Incomparabile qui. L'autonomia dei bimbi è impressionante, la loro fantasia pure, il loro saper creare, il loro emozionarsi con ogni semplice storia. E' la semplicità che si tocca, vi si è dentro.
 
Stavamo leggendo “Il barone rampante”, e ci troviamo noi stessi a stare più sugli alberi che per terra. La raccolta delle olive è iniziata lunedì, mattina presto, una prima volta per noi. Si raccolgono le olive, da mane a sera, in mezzo il pranzo che chiama con un suono di campana e poi la voce di Lucile “A tavola!” che risuona in tutta la vallata.

Wednesday 15 October 2014

Adesso possiamo aprire il miele di Gianni e Valentina.

Ta ta ra ta ta ta.....siamo partiti!
Un po' il lunedì tredici anche se porta male, un po' di martedi anche se "di Venere e di Marte non si sposa e non si parte", come ci ricorda la saggia Piera. La prima notte abbiamo dormito a soli dieci chilometri da casa, così da imbrogliare sia il martedì sia il tredici... ma chissà se si può imbrogliare i proverbi, le credenze, le scaramanzie. Siamo partiti con un trasloco infilato in dodici valigie, Chieri Settimo Baldissero e Torino che non ci lasciavano andare, la pioggia che un po' veniva giù a sciaquare il camper e un po' si riposava.
Sabo si chiama il nostro camper, gli abbiamo lasciato il nome di battesimo datogli da Nicolò, il precedente proprietario. Sabo da "sabot" zoccolo di legno in francese, e sabotatore. L'abbiamo ridipinto dentro, Sabo, di arancio e verde mela, l'abbiamo ripulito con acqua e sapone di marsiglia, l'abbiamo anche ripavimentato per un pezzo: risultato da principianti quali siamo, ma contenti di averci provato. E poi ci abbiamo infilato dentro i nostri libri e vestiti, i giochi della piccola dolce principessa che tra nove giorni compirà tre anni, cuscini morbidi e colorati, bamboline scaccia pensieri, sacchettini di lavanda di nonna Alba, peperoncini piccanti di giù di Nicola, mandala donati da Edo... tanti pezzetti di vita.
L'elefantino africano di Panda ci guida dal cruscotto in mezzo a una rosa del deserto e a un quarzo rosa, due pietre d'infanzia.
Stamattina la prima cosa che abbiamo gustato è stato un piccolo cucchiaino per uno del miele di Gianni e Valentina, due pinerolesi trasferitisi in Liguria dopo tre anni di viaggio in giro per il mondo. Li avevamo conosciuti quasi un anno fa. "Questo quando partite apritelo, vi porterà fortuna" ci disse Gianni quando ce lo regalò. Abbiamo aspettato un inverno, una primavera, un'estate, un pezzo di autunno. E stamattina il clic del barattolo che perde il sottovuoto è stato il clic del nostro "VIA".
L'Italia è lunga, e ai settanta-ottanta all'ora e con i camion che sorpassano e ci fanno ondeggiare e senza radio e con il rumore del differenziale che assorda per ricordarci che c'è e che funziona forse è ancora più lunga. Ma ci siamo quasi.
Domattina arriveremo alla prima destinazione, la nostra grande famiglia ci sta aspettando. Abbiamo gia incontrato sulla strada un viaggiatore spagnolo, Miguel, in wwoofing da piu di un anno. La sua faccia ė piena di sole e le mani sono quelle di uno che lavora la terra ogni giorno. Ho imparato facendo, ci racconta. Buon viaggio Miguel, e a presto.
Stiamo leggendo ad alta voce durante il viaggio "Il barone rampante" di Calvino. Stasera quando le colline toscane hanno cominciato a circondare l'autostrada a pagina cinquanta leggevamo:
"Cosimo non resse: ancora con la lingua fuori sbottò: -Sai che non sono mai sceso dagli alberi da allora?
Le imprese che si basano su di una tenacia interiore devono essere mute e oscure; per poco uno le dichiari o se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso o addirittura meschino. Così mio fratello appena pronunciate quelle parole non avrebbe mai voluto averle dette, e non gli importava più niente di niente, e gli venne addirittura voglia di scendere e farla finita. Tanto più quando Viola si tolse lentamente il frustino di bocca e disse, con un tono gentile:
-Ah sì? ... Bravo merlo!"

La nostra è un' impresa piccola e umile e per quanto non vogliamo nè dichiararla nè glorificarcene, non vogliamo neppure che rimanga muta e oscura. In questo blog inizieremo a raccontarvela.

Wednesday 1 October 2014

Un nuovo camper. Gioia, grattacapi e tremarella.

Preso sulla fiducia. Primo errore.
Lui è vecchio e bellissimo. Forme smussate e solide. Paraurti in ferro, che potrebbe piegare le sbarre di un cancello rimediando appena un grosso bollo. Integro e senza ruggine, dentro è compatto e comodo. Nicolò non cerca di nascondere i difetti, me li illustra dal più grave, la caldaia che manca, fino al più lieve, una piccola crepa sulla finestra di plexiglas. Il frigo non sa se funziona, perchè non l'ha mai usato. E' magro e malinconico, Nicolò. Ma ride spesso, con una risata divertente, contagiosa. Ha diciannove anni e non ha ancora fatto programmi più a lunga scadenza di racimolare qualche soldo-costruirsi un camper-tornare in Francia alle raccolte. Per ora fa la vendemmia a La Morra. Un buon ragazzo da furgone, insomma. E' la seconda volta che ci vediamo, a Bra. Abbiamo deciso di comprare. Mi sembra a posto e mi sono fidato. 
Però, quel rumore..
Il meccanico dice che potrebbe essere tutto o niente. Portamelo lunedì e lo guardo. Nicolò dice che il suo meccanico dice che è il differenziale. Non è niente che non va, è solo vecchio. Cigola un poco. Dovevi pensarci prima di dargli l'assegno, idiota, a portarlo da un meccanico. Spero per il meglio e faccio gli scongiuri.  Controllo il frigo: funziona. Il venerdì sera è lui stesso a richiamare, per dirmi che ancora l'assegno non l'ha incassato. Attende notizie dal mio meccanico. Correttezza.  
Intanto la partenza è il dieci ottobre. La tremarella avanza, le ginocchia cedono. Si litiga su tutto. Così tesi da far scintille. Tutti i progetti sono legati a fili sottili. Le valigie nemmeno pensate. I dubbi ci sovrastano come un tetto spiovente. E non sono solo nostri. Non tutte le persone care ci sostengono, anzi, alcune si mettono di traverso. Maelia percepisce la tensione, ma il suo carismatico potere di bambina rende più lievi gli affanni. Fuori l'autunno è caldo dopo la pioggia. Vogliamo solo partire.