Tuesday 13 December 2016

Bianca, fucsia, nera o gialla: pulirsi il culo con il Portogallo.


Portogallo come una pecora in braccio al pastore, che a breve la sgozzerà. Portogallo con poche fabbriche, con pochi veleni e pochi alberi. Portogallo che si affaccia su di un mare immenso, e sembra che sia pronto a salpare. Portogallo di vite e di ulivo. Sulle lievi alture, monocolture di pini da legno ed eucalipti da cellulosa. Alberi che prosciugano le sorgenti ed acidificano il suolo. Nessun animale ha niente da fare in un bosco di eucalipti. Anche il sottobosco fatica a crescere. I pastori in costume tradizionale e mantello di lana badano alle greggi e si ubriacano di vino.
Siamo tra i boschi di pini del parco nazionale della Serra de Estrella. Nel punto dove i pini, in alto, finalmente si diradano e lasciano il posto alle querce ed ai castagni, rivoli d'acqua zampillano da ogni parte e si insinuano in antichi canali che riforniscono vetusti mulini. Gli alberi da frutto popolano le strette piane ed i pascoli. Una zona un tempo fiorente e popolata, dopo decenni di abbandono rivive grazie a un piccolo nucleo di immigrazione nord europea. Stef e Nadia, vicini di casa dei nostri host, vivono lì da cinque anni. Lui è un olandese sorridente e tra le altre sue abilità è fabbro ferraio. Nadia è francese, cresciuta in teepee con la madre, fratelli e sorelle nel sud del Portogallo. Dice che non ha mai lavorato molto nella vita perché lavorare non le piace. Ma mentre noi chiacchieriamo nella veranda della sua casa di legno, che Stef si è costruito da solo, lei impasta ed inforna il pane, accende il focolare esterno con una sveltezza esemplare, prepara la torta ed il cha per tutti, taglia e mette le castagne sul fuoco. Il tutto con una destrezza ed una velocità che mi lascia sbigottito. Mi ricorda l'abilità e la manualità delle donne zingare, ma non quelle del campo, più abituate ad una vita in casa, bensì le mogli e le figlie dei calderai nomadi, che si destreggiano abili tra fuochi da campo e pecore da macellare. Stef, quando sorride, sorride tutto quanto, dai capelli alle dita dei piedi. Ha gli occhi di un verde brillante e parla l'inglese forbito e cadenzato degli olandesi educati. Gli mostro il disegno di un falcetto. Mi piacerebbe me lo forgiasse lui a mano. Lo voglio pesante, robusto, di acciaio vecchio, indistruttibile. Accetta, felice della commissione. Gli lascio i soldi in anticipo. Lo farei anche senza, dice lui. Glieli lascio lo stesso.
Nella Serra da Estrella la nostra casa è una roulotte verde con una piccola stufa a legna, ricavata da una bombola di gas. Anche questo mi ricorda gli zingari, del campo, questa volta. Il bagno è il bosco, l'acqua potabile viene dalla sorgente, l'acqua corrente dal piccolo fiume che scorre poco più a valle. L'orto sembra un prato fiorito a maggio, amaranto e tagete mescolano le loro sfumature accese con il verde carnoso del cavolo e le gocce vermiglie dei pomodori. Tutto che cresce a macchie, ciuffi, cespugli sparsi, senza linee rette, senza filari, come se si fosse autoinseminato. Rifacciamo l'isolamento della casa di legno. Strappiamo lo strato di lana dalle pareti interne, grattiamo le assi, le trattiamo con una soluzione impregnante fatta in casa. Ci muoviamo a piedi tra un paese e l'altro, rimpiangendo il camper rimasto in Italia. Ci scaldiamo nelle bettole, bevendo vino a poco prezzo e di buona fattura, che qui tutti si fanno da soli. Nella Serra de Estrella è vietato piantare eucalipti. Le piantagioni che crescono su tutto il Portogallo servono a fare carta. L'eucalipto sottrae acqua al terreno e la rilascia in atmosfera. D'estate, sotto le piantagioni, si muore di caldo. Non si sente un uccello volare. Gli scoiattoli sono spariti. Solo le api trovano da fare al momento della fioritura. In compenso, il tronco resinoso prende fuoco che è una bellezza. Goncalo, un vicino di casa che vive in yurta con la fidanzata Rita, mi dice che questi boschi a monocoltura di pino o eucalipto are just waiting to set fire. Ogni anno decine di incendi flagellano la nazione, e li chiamato incendi di foreste, sottigliezza della disinformazione.

Un mese nella Serra ed abbiamo capito che siamo stufi di stare in casa d'altri. Vogliamo un posto nostro. L'eterno dover chiedere perfavoregrazie ci sta sfiancando.
Ce ne andiamo dalla Serra e raggiungiamo la casa di Cleo, nel Portogallo centrale, per una breve tappa di due settimane prima di scendere a sud. Una zona di clivi scoscesi, coltivati ad ulivi e viti e, naturalmente, eucalipti e pinho nacional. La sistemazione è very basic, una fredda ed umida casa di pietre di scisto che ci fa rimpiangere la roulotte. Ma non c'è niente di unfair: Cleo ha vissuto una stagione intera qui, prima di trasferirsi nella casa grande. Cleo è una inglese sognatrice, vecchia hippie che si è cresciuta da sola tre figli in teepee nel Daevon. Si è insediata qui, in una valle dove d'inverno il sole batte poco, in una zona colonizzata dagli inglesi, che hanno occupato le antiche case di pietra dei contadini e dei pastori. E' una vecchia signora, con le sue fissazioni ed i suoi equilibri, che noi, come famiglia rumorosa e numerosa, facciamo vacillare. Ma le portiamo anche tanta vita, quando la sera siamo tutti insieme nel grande e caldo salone ci guarda con affetto. Che silenzio ci sarà quando andrete via, mi mancherete. La stretta vallata è fredda e poetica, con le terrazze contenute da muri di scisto che cambiano colore quando il sole ci batte sopra. Dopo l'ultimo muro in basso si apre una stretta piana a forma di ferro di cavallo, dove c'è l'house garden, vicino a casa, ed il river garden, più in fondo, vicino al fiume che scorre rumoroso tra i sassi. I terrazzamenti sono così ripidi e ravvicinati che ci si può agevolmente parlare da una parte all'altra della valle. Nella piana scorre un fiume impetuoso, che forma una piscina naturale di acqua gelida. In paese si racconta che un tempo il fiume scorresse lungo l'intero pianoro, e che un solo contadino ne deviasse il corso, con scassi e muretti, dopo che il suo figlioletto fu trascinato via dalle acque. Intorno a casa di Cleo c'è un pettirosso, che ogni mattina vola e picchietta sul vetro della finestra, come volesse entrare e fare colazione. Si riposa sul ramo, frulla intorno a noi. C'è sempre, ci segue nei lavori e nelle passeggiate. E quando l'ultimo giorno saliamo per il sentiero per portare gli zaini in macchina lui lo percorre con noi, ci saluta volando da un albero di ulivo all'altro. Il bambino non vuole lasciare la sua vallata. Di giorno fa molto caldo, lavoriamo in maniche corte. L'aria è umida la mattina, intrisa di rugiada, mentre la notte, quando ritorniamo alla casa di pietra, rabbrividiamo di freddo. Per quanto carichiamo la stufa la stanza non si scalda mai. I muri di pietre a secco lasciano passare l'aria gelata, trascinata dentro dall'ascensione del calore della stufa. Gli ulivi di Cleo non vengono potati da tempo ed hanno raggiunto altezze ragguardevoli, ma ancora più alti sono i pini, che si sono fatti largo nel corso degli anni. Cleo non vuole pini nell' uliveta, anche se io credo stabilizzino i terrazzamenti riducendo i crolli. In ogni caso li tagliamo tutti. Uso la sega ad arco perché non mi fido molto della motosega, e workaway non prevede assicurazione per i lavoratori. Charlie, un ragazzo del Devonshire, mi aiuta. Indirizziamo gli alberi con una tacca, poi seghiamo longitudinalmente. Quando sentiamo i primi crepiti gridiamo timber! E stiamo a sentire il tonfo secco del tronco che si schianta a terra.
Cleo mi dice che la pulp industry in Portogallo è di proprietà di una società inglese. Poi mi da una notizia allarmante, che devo verificare prima di diffondere. Però quando ce ne andiamo da casa sua verso la fermata del bus che ci porterà ad Aljezur, mentre guardo dal finestrino le interminabili colture di eucalipto da un lato e dall'altro della strada mi risuonano nelle orecchie le sue parole: wiping our asses with Portugal.
Quello che abbiamo capito da Cleo è che non vogliamo abitare in una casa di pietra. E che la piantaggine è un'altra spontanea da tenere in considerazione. La mastite di Veronica l'abbiamo guarita con impacchi di questa pianta. Ci chiediamo a volte come faccia questa donna di più di sessant'anni a vivere in un tale contrappasso di comodità. In una valle così inospitale. La vasca da bagno è fuori e l'acqua la scalda accendendo il fuoco sotto, come il pentolone dei cannibali. La toilette è fuori anch'essa, niente più di una cassa con un secchio dentro, da svuotare periodicamente. Prima di trasferirsi nella casa grande ha vissuto per una stagione nella casa di pietra dove abbiamo pernottato noi per due settimane. Al gelo. Il sole d'inverno è un passante fugace, su quei clivi erti e male orientati, inospitali. Eppure i ruderi delle case di pietra, le terrazze, le vecchie vigne sepolte dai rovi, sorrette da pali di scisto che sembrano di legno talmente sono tagliati con maestria, i sentieri appena visibili sotto la spessa erba, i mulini a valle ed i terrazzamenti con i canali di drenaggio sono il segno evidente che questa vallata è stata, un tempo densamente abitata. Le voci ed i canti dei contadini si mescolavano allora al rumore delle zappe, delle accette, delle roncole e dei segacci.
Salutiamo quelle anguste vallate e saltiamo su un bus. Dopo un giorno eccoci qui. Al sud. Paradiso dei surfisti. Aljezur è un classico paese bianco della costa atlantica. Pieno di stranieri e scuole di surf. Qui la vita costa. La terra è bellissima, rossa di argilla, grassa, ricca. L'acqua è poca e torbida nei ruscelli. Le basse colline coltivate a querce da sughero, piante basse e contorte, scorticate, sofferenti. I corbezzoli crescono radi, in bassi cespugli. L'ambiente è internazionale e stimolante. Inglese e portoghese si alternano nei dialoghi. Fernando ed Eva si sono ritagliati un bell'angolino qui. Dieci ampie terrazze con due belle case. Producono ortaggi e ospitano yoga retreats. Eva, ceca, pratica, sorridente, si dedica alle figlie ed al nido familiare. Lavora nella free school che anche le sue figlie frequentano. Arrotondano con piccolo artigianato e servizi turistici. Fernando è il classico portoghese del sud: surfista, bello come il sole, sangue freddo e grande istrione. Noi siamo qui per occuparci dell'orto, che non è stato curato per qualche mese. Prepariamo il terreno, lo puliamo dalle erbacce e dallo cha preto, un'infestante che si riproduce molto rapidamente, seminiamo cover crops e green manure, aglio e mostarda, pacciamiamo e diamo forma ad un orto dalla geometria perfetta. Fernando ama l'ordine. Il suo garden è l'opposto di quello visto nella Serra da Estrella. Ordinato, curato al dettaglio, netto. Il suo amico Rahim lo aiuta con il lavoro e con i suoi preziosi consigli. Rahim è ebreo di Jerusalem. Peace activist, olistic and hebrew, ma non si ritiene jew, giudeo. Rahim è farmer da quindici anni, esperto in eco agricoltura. Minuto e leggero, sembra un bambino. Ma quando parla l'inglese perfetto del viaggiatore di lunga data è come se recitasse un incantesimo. Ammutolisco ed allargo le orecchie quando tocca l'argomento agricolo. Lo cha preto lo combatti con le continue semine, oppure con orticole perenni come l'asparago ed il carciofo. La melanzana cotta è praticamente nulla dal punto di vista nutritivo. Gli parliamo della nostra idea di tornare a nord. Una famiglia ci ospiterebbe e vorrebbe iniziare un progetto insieme. Lui è un vulcano di idee e ci suggerisce, a bruciapelo, di creare un centro ecoagricolo per turisti, spiegandoci nel dettaglio i primi lavori da fare, di contattare l'ambasciata italiana per metterci a disposizione degli italiani che vogliono trasferirsi qui. Ci fornisce anche il contatto di una sua amica dell'Università di Coimbra e di un'olandese che vive vicino a Coja e che sta portando avanti un progetto ecoagricolo. Positivo e solare, ti dà la carica, Rahim.

Qui al sud cominciamo piano piano ad entrare nel giro. Ma i prezzi dei terreni sono esorbitanti. A causa dei turisti, dicono. Su al nord i prezzi sono più bassi, e Sandra e Claudius, svizzeri, non vedono l'ora di iniziare a creare qualcosa insieme. Claudius è un buon carpentiere, e si è costruito la yurta da solo; nel paese vicino c'è una bella Waldorf school che ha prezzi molto contenuti, ma siamo dubbiosi lo stesso. Qui a sud l'inverno è più mite, il mare è più vicino e l'ambiente è più stimolante. Però l'estate è torrida e secca, la scuola è molto cara e l'acqua dei rivi è fetida. E non ci sono sorgenti potabili. Al nord, al contrario, l'estate è più fresca, l'acqua c'è ed è pulita, la vita costa meno.
Dopo una breve ricerca trovo finalmente un report di un'agenzia di consulenza e supporto agli investimenti esteri sulla pulp industry portoghese, che smentisce un poco quello che mi aveva riferito Cleo, ma i dati mi fanno ugualmente riflettere: gli eucalipti portoghesi servono a fare carta, ma non igienica. O meglio, non solo. La maggior parte della fibra e della cellulosa degli eucalipti serve a produrre carta da stampa. Solo il 6% serve a fare toilet paper. Parte di questo sei percento viene usato dalla Renova, società portoghese, per produrre l'ormai celebre carta da culo colorata. Nera, rossa, gialla, fucsia. Quando ci puliamo il culo con della carta igienica comune, bianca, c'è una buona probabilità che questa sia prodotta con legno di eucalipto. L'albero che sta uccidendo il suolo portoghese, la foresta pluviale brasiliana ed i boschi del Borneo. Se invece hai il privilegio di usare la carta colorata della Renova, venduta in tutto il mondo, allora puoi essere sicuro che ti stai pulendo il culo con il Portogallo.

 Lo chà preto.

Tuesday 5 July 2016

Avocado, vulcani e nascite.

L'avocado è una meraviglia di albero. Il fusto deciso, rugoso. La foglia larga, di un verde brillante. I rami bassi, piegati dal peso di frutti e fogliame, arrivano a terra. Il mio preferito tra i 180 alberi dell'impianto, qui da Vincenzo ed Elisa, è un selvatico, verde smeraldo, con fogliame fitto, a cupola, che ci puoi stare sotto come in una capanna. I frutti sono meravigliosamente grassi e fragranti, e fino a che non si raccolgono non maturano. Rimangono lì, appesi, integri, fino a che non arriviamo noi a staccarli con le forbici periscopiche. Uno, due, tre. Contiamo i frutti che cadono dopo il taglio per non perderli tra l'erba verde. Ne mangiamo a volontà.


Dopo poche settimane dal nostro arrivo, cominciano a fiorire gli agrumi. Nell'aria si spande il profumo inebriante, aromatico e speziato delle zagare. Sembra impossibile che un fiore così dolce, vellutato e fragile spunti su una pianta così spinosa, ruvida ed inospitale. Insieme ai limoni nasce anche Amanita Naima, che ora  riempie le nostre giornate. Sta bene all'aperto, sotto gli alberi, come tutti i funghi
Un'eruzione dell'Etna ci ricorda che, da queste parti, è Lui che comanda. E' stato Lui a plasmare queste terre dare loro la forma che hanno oggi. Le piante che qui crescono hanno dentro un poco di fuoco di lava. La rucola è particolarmente piccante, i pomodori asciutti e sapidi, le ciliegie dolci e saporite. Abbiamo allestito un orto, il primo tutto nostro, e non vediamo l'ora di raccogliere.
I ragazzi ci hanno accolto come nemmeno ci aspettavamo. Per la prima volta, (anzi, la seconda, dopo il Giardino della Gioia, o forse la terza, dopo Piccapane) sentiamo di avere il tempo da dedicare anche a noi, alle nostre necessità, senza sentirci dei rubapagnotte. Vincenzo ed Elisa hanno tre figli, e sanno bene cosa significa avere famiglia, il lavoro, il tempo e gli spazi che bisogna dedicarle.




Monday 14 March 2016

A noi kafka ci fa un baffo.


Era settembre dell'anno scorso, e dopo una bella giornata al mare con la cara Doriana stavamo tornando verso Piccapane. A un kilometro dall'arrivo il camper Sabot si ferma in una rotonda, si spegne, senza preavviso e senza rumoracci, solo si spegne. Andrea e io ci guardiamo dicendoci con gli occhi: “ecco è successo, Sabot ci ha lasciati e siamo dal culo”. Doriana invece, incredibile ottimista in ogni circostanza, urla forte e chiaro e con un bel sorriso: “Una nuova avventura per la famiglia!”. Sul momento non avevamo apprezzato granchè la sua capacità di sdrammatizzare le situazioni semi tragiche, ma in seguito ne abbiamo fatto più volte tesoro.
Ora che negli ultimi giorni la vita si è completamente dimenticata dell'ordine, dei programmi e della forma che avevamo tentato di darle da due mesi a questa parte, la frase della dolce Doriana la ritiriamo fuori dai ricordi come un mantra, ridendo per non piangere e riuscendo a tirare avanti con il sorriso e con un po' di positività che ancora vive in noi.
Iniziamo dal principio. Un mese e mezzo-due fa scegliemmo la tappa successiva a Thar Do Ling, scelta fatta con estrema cura: in quel luogo avremmo trascorso quattro mesi e avremmo dato la luce alla nostra piccola. Quante serate a pensare e soppesare le varie possibilità, a chiederci a quali aspetti dare più peso, quanti dubbi! Scegliemmo un B&B a Zafferana Etnea, gestito da una famiglia con due bambini, tanta terra e tanti progetti. Quanto entusiasmo da entrambe le parti!
     Il giardino della Kolymbetra.

Il 23 febbraio salutiamo Thar Do Ling e dalla provincia di Palermo dove eravamo scegliamo di percorrere tutto il sud della Sicilia sulla costa e arrivare all'Etna dal sud, prendendoci una decina di giorni di vacanza e intimità familiare prima di giungere nel nuovo luogo. Ogni cosa stava andando per il meglio: noi travestiti da turisti per qualche giorno, opere d'arte, templi e riserve naturali, bel tempo e un po' di vento, mare e colline.

Passiamo anche a conoscere Eckhard, host wwoofer con cui abbiamo più volte parlato al telefono e che incontriamo a casa sua, vicino Comiso. Casetta di pietra, la cucina di legno, la natura che regna incontrastata, rispettata ed amata tutto intorno. Lui ha 70 anni, ex professore universitario di fisica, tedesco che da vent'anni vive qui in Sicilia. Quel che vediamo lo ha costruito lui, con l'aiuto dei wwoofer negli anni, le case sono state ristrutturate, i terreni recuperati, è magnifico e armonioso. I due-tre giorni trascorsi con lui sono piacevoli ed autentici. Lavoriamo nel piccolo vigneto, un ritmo di lavoro e di vita sereno ed umano. Una famiglia tedesca con un bimbo di due anni e mezzo,il piccolo e biondo Noha, è ospite wwoofer da Eckhard da diverse settimane. Sono anche loro in viaggio con il camper dopo aver lasciato lavoro e casa in Germania. Il loro bimbo è un elfetto sveglio e generoso, loro sono una coppia rilassata e armoniosa, noi grandi abbiamo la stessa età e anche Bianca è incinta del secondo bimbo. Un bell'incontro. Le serate da Eckhard le trascorriamo tutti insieme discutendo e riflettendo e poi giocando a vari giochi da tavola. C'è un'intimità e un'atmosfera familiare inattesa e gradevolissima.
Prima di andarcene da quella piccola oasi, il nostro prossimo host ci fa il pacco: cambia idea e non vuole più ospitarci. Ci ritroviamo col culo per terra e ci diciamo “Una nuova avventura per la famiglia!”. Grazie Doriana, non sai quanto sei preziosa.
Venerdì ci dirigiamo verso il mare per cercar pace e calma dove rimettere in ordine le carte e capire cosa fare delle nostre ossa. Finiamo per caso a Scoglitti, un paesello accanto alla città di Vittoria. Parcheggiamo Sabot sul lungomare, spoglio di macchine e persone, è ancora inverno, pizzerie e bar sono perlopiù chiusi. L'indomani, dopo una bella mattinata di sole caldo, castelli di sabbia, bagno in mare del coraggioso Andrea, riordiniamo le nostre cose per ripartire, verso dove non lo sappiamo con esattezza neppure noi. Ma... sorpresa sorpresa... Sabot non si accende! É ormai l'inizio pomeriggio di sabato, le officine sono chiuse fino a lunedì mattina. Non ci resta che piangere. Oppure non ci resta che goderci albe e tramonti e il tempo insieme, come mi scrive Valentina in un affettuoso messaggio. E così il fine settimana della nostra semi disperata famiglia si trasforma in due giorni di mare sole sabbia e passeggiate sul lungomare nella amena Scoglitti. Una località balneare che se fosse priva dei mostri di cemento che guardano il mare e della plastica mista ad immondizia varia che borda la spiaggia, non sarebbe per niente sgradevole. Ma ci basta poco per stare bene, il parco giochi guarda le onde, il sole splende, Maelia è raggiante e ci sentiamo in ferie.
Domenica sera chi doveva ospitarci ci ricontatta: ha trovato qualcuno, che che ci accoglierebbe, suoi vicini di casa, della rete Helpx. Ci parliamo al telefono; sono una famiglia con tre bambini, hanno un'azienda agricola, apertissimi di spirito hanno detto perchè no.
Lunedì mattina il carroattrezzi grande e giallo carica Sabot e lo porta fino ad un'officina di Vittoria. In due ore, qualche vite e qualche molla l'elettrauto ha risolto ogni cosa, non era nulla di grave. E così come dice Maelia “Ha aggiustato il camper in un baleno!”. Tiriamo tutti il fiato.
La ventata nera di sfortuna si è finalmente allontanata da noi? O forse non era sfortuna ma un cambiamento necessario per andare verso il meglio. Senza voler pensare che fosse un destino già scritto che ci attendeva, ci piace credere che tutto abbia un senso. Più grande di quel che noi possiamo comprendere.

Saturday 13 February 2016

Vento, pietre e calci

 

Sento fuori gli alberi scossi dal vento, è buio da ormai due ore. In cucina fa freddo come quasi sempre, in casa c'è silenzio, dormono tutti, bimbi e grandi. Dondolo e Giorgiana sono nella loro stalla al riparo, in attesa di domani e di altre bucce d'arancia, fieno, carezze. Le parole sono rimaste bloccate da mesi e mesi, non c'è più stata quella serietà, concentrazione, costanza e dedizione che aveva permesso a questo blog di nascere, seguirci e raccontarci nel nostro viaggio. La cosa ci fa dispiacere, ma non riusciamo a modificarla come vorremmo, il che è un peccato. Come lo è il fatto che la nostra ricerca sui resistenti alla modernità si sia arenata senza più essere salvata da nessuno. Fa dolore quando la osserviamo lì, senza vita, piena in potenza di interessanti stimoli, ma immobile. E invece di ridarle vita la guardiamo stare. Ci servono amore e disciplina. Sappiamo di poter ritrovare lo slancio, speriamo avverrà presto.
Oggi era martedì grasso, era previsto insieme con Laura e Rosario e i loro tanti helpxers di costruire e poi bruciare i fantocci come vuole la tradizione, ma non lo abbiamo fatto. Porterà male? Non sono cose rinviabili, Natale è il 25, non il giorno dopo. Peccato. Ci sarebbe piaciuto rinnovare questa festa pagana, abbiamo forte bisogno di dar fuoco ai pensieri e alle paure profonde per andare avanti più forti e leggeri. Troveremo altri riti.
 
Sono trascorsi i tre mesi pattuiti con Simona e Danilo a Thar do ling. Sembra ieri, durante le pause di pulizia del grano a Piccapane, nel caldo di ottobre, parlavo per la prima volta al telefono con Simona, ci presentavamo senza mai esserci viste e incontrate prima, prendevamo informazioni e accordi. La presenza qui di Anthea e Ethan, i due bimbi che Simona e Danilo hanno in affidamento dalla scorsa estate, è stata determinante per la nostra scelta. E non ci siamo sbagliati. Dopo solo venti minuti dal nostro arrivo Maelia era già a giocare con loro e a correre in tutta la casa, tutti e tre eccitati dal nuovo incontro. E da allora, tre mesi fa, questa amicizia è maturata e si approfondita molto. É stato meraviglioso vedere i bambini cercarsi sempre, volere uno la presenza dell'altro, sentire il loro legame stringersi. Sarà un gran dolore separarli, tra un paio di settimane. Piangeranno, e piangeremo. A volte dover andare pesa, ma ci ricordiamo di essere in viaggio. Certo è che conoscersi è stato arricchente per ognuno di loro. I più belli qui sono loro, i piccoli. Hanno decorato l'albero di natale, ballato e ballato a suon di musica, letto storie, fatto camminate nel bosco verso e oltre il fiume, raccolto le olive, preparato la pizza e lo sfincione, munto le mucche di Marceca. Hanno imparato a non avere più timore degli asini, tanto grandi e tanto buoni, ad arrampicarsi sui tortuosi ulivi, a fare mazzi di fiori e di erbe, a raccogliere il finocchietto selvatico per le sarmale a capodanno, trascorso insieme il veglione intorno al fuoco a cui hanno e abbiamo affidato i nostri progetti per il nuovo anno, hanno condiviso le levatacce nelle mattine buie e fredde dell'inverno per andare a prendere il pulmino giallo zeppo di bimbi più grandi e non sempre simpatici. Hanno vissuto la quotidianità in modo genuino. C'è chi inizia ad imparare ad essere più generoso e chi invece spinto dall'imitazione assaggia qualche cibo nuovo in più, c'è un costante imitarsi nel parlare e nei desideri, nei giochi e nei gusti.

E noi grandi? Il mondo di Simona e Danilo lo abbiamo un poco esplorato, abbiamo conosciuto parti importanti delle loro famiglie, abbiamo incontrato e condiviso bei momenti con gli amici più stretti. Mai ci eravamo sentiti accolti come qui, inseriti nella vita quotidiana. Simona dopo poche settimane dal nostra arrivo mi disse con un sorriso “Faremo tutto insieme in questi mesi, farete parte della famiglia.” Ha avuto ragione.
Wwoofing per tre mesi qui, due famiglie di quattro e tre persone che vivono insieme, che convivono, come hanno detto Simona e Danilo. Ci si vede dalle sei e mezza del mattino alle otto e mezza della sera. Mai facile, ma spesso piacevole, stimolante, istruttivo.


A noi mancano i lavori in campagna. Dopo le prime settimane dedicate alla raccolta delle olive, che sono state per noi un ottimo inizio, conviviale, sereno, il nostro contatto con la terra e le piante si è ridotto enormemente. Le energie sono state investite per dare forma ad un pezzo del muretto a secco sul lato nord ovest della casa, un lavoro bello, ma lunghissimo e faticoso, ripetitivo soprattutto per chi come noi ha più il compito di apportare il materiale da utilizzare per la creazione piuttosto che il tetris stesso del costruire il muretto a secco. Le montagne di detriti che da anni opprimevano il giardino davanti casa sono diminuite, tanti rovi sono stati tolti, e tante carriolate di pietre e sabbia anche. Resta ancora molto da fare, ci saranno altre braccia e altri cuori a proseguire dopo di noi questo compito.
Nella pancia la nostra bimba scalcia, mai stanca, nascerà vicino all'Etna e non in questi monti come avevamo sperato. Alcuni ulivi grandi e frondosi ci erano sembrati accoglienti per sostenerci durante il travaglio, il salone colmo di luce libera di entrare dalle grandi finestre in cui si è dentro casa, ma sembra di esser fuori nel bosco, ci aveva chiamato, ci eravamo visti li dare alla luce la piccola. Ma è di nuovo tempo di andare. Ci rivedremo.