L'ospite è come il
pesce: dopo tre giorni puzza. Poichè ci fidiamo dei detti colmi di
saggezza popolare siamo rimasti a Zebrafarm, Umbria, solo tre giorni.
E che giorni! Pienezza e gioia.
Arriviamo in tarda
mattinata, ci viene incontro abbaiando Tatagata, una dolce cagnona
nera. Saviana e suo marito stanno lavorando alle finiture
dell'atilier, cioè l'altelier di Ati, suo marito appunto. Lui
è abbarbicato su una scala, sorridente e abbronzato, un bell'uomo
pieno di pace. Quando scopriamo la sua età rimaniamo a bocca aperta,
ne dimostra venti di meno. Saviana è serena, la dama dei boschi,
capelli lunghi e grigio bianco, ci fa venire in mente Jane Goodall.
La piccola casa o grande stanza che stanno terminando è fatta di
balle di paglia e rivestita di terra cruda, i muri sono lievemente
ondulati, in modo irregolare, sembra una grotta delle fiabe.
Saviana e Ati: lei si
definisce italica, di tutte le origini, popolare-nomade-nobile, tutto
fuorchè medio borghese. Lui è Argentino, ex bancario, attuale
pittore, artigiano, orefice, contadino, viaggiatore. Da ormai molti
anni condividono il loro cammino, un po' qui in Etruria, e un po' in
giro per il mondo. Dopo poco arriva Revel, di ritorno da scuola,
tredici anni: il suo viso è libero, il suo sorriso è semplice, i
suoi occhi neri guardano al di là delle cose e a volte si perdono
nell'infinito. Bellezza.
Feeling in
inglese, sintonia in italiano, ecco quel che percepiamo dopo
poche ore a Zebrafarm. Tre persone prive di fretta e di stress, tre
persone complete, tre esseri umani, umani per davvero.
Maelia ci mette ancora
meno di noi ad innamorarsi di loro, lascia cadere da subito ogni
barriera, splende e sorride, gioca ed esplora, sembra aver scordato
ogni paura e timore del nuovo, si dimentica di noi e si perde a
giocare con Revel. Quale miglior cartina tornasole della nostra
meravigliosa principessina?
L'atilier in terra cruda e materiali di recupero.
“Camminate dietro di
me! ...Lo sapete perchè si dice camminare in fila indiana?” ci
chiede Saviana, e poi risponde lei al posto nostro: “Perchè gli
indiani, che di cose ne sapevano tante, camminavano uno dietro
l'altro, e non come facciamo noi, in branco sparso come una mandria
di mucche. Qui a casa nostra camminiamo in fila indiana, perchè
guardate intorno a voi, tutto questo è cibo, non va calpestato!
Camminate solo nei sentierini perfavore.” Apriamo gli occhi, e
finalmente vediamo, notiamo tutt'intorno ortiche, erba aglina,
borragine, stellaria, falsa ortica...
Il primo pranzo a
Zebrafarm è un piatto di pasta di farro con le ortiche, delizioso.
Le ortiche le raccogliamo nel grande giardino di Saviana e Ati, noi
con i guanti, lei no. “Se vai deciso e non ci pensi non pungono, e
poi l'istamina delle ortiche è antiartritica”. Le crediamo
sinceramente, ma le nostre dita no, probabilmente non siamo
sufficientemente decisi. Il cestino di vimini si riempie di
puntarelle di ortica, e le sue mani non hanno una sola bolla.
La compost toilet.
Qual'è la professione di
Saviana? Docente di permacultura, corsista, forse anche maestra di
vita. Da trent'anni si occupa di permacultura, senza mai smettere di
studiare e viaggiare. Tra pochi giorni partirà per un altro viaggio,
destinazione Burkina Faso, perchè anche i burkinabè si interessano
di permacultura. Va a fare un mese di corso, senza chiedere un
compenso, ma solo una donazione. “Vogliamo riuscire a vivere solo
di donazioni. Lavorare pensando al salario toglie bellezza al lavoro
che si fa. Quando imbiancavo le case a vent'anni pensavo più al
compenso che avrei ricevuto, che a quel che stavo facendo... Che
senso ha?” D'estate a Zebrafarm Saviana e Ati tengono due corsi di
permacultura e progettazione, gli iscritti sono da limitare, il
prezzo è sempre adattabile a chi giunge e ai bisogni di ognuno ed è
comunque estremamente democratico. Si chiama umanità.
Dopo pranzo Saviana tenta
di migliorare una rocket stove, un'altra delle cose in cui è
maestra. Si trova nella stanza Mandala, una splendida casetta in
terra cruda, tondeggiante, grande come una yurta, luminosa e
invitante alla meditazione. Quando vediamo la rocket, è la prima per
noi, e capiamo il suo funzionamento la domanda che le poniamo è: “Ma
perchè non ce n'è una in ogni casa dei paesi freddi?”. Questa
domanda si sommerà a molte altre nel corso dei tre giorni, e la
risposta che Saviana ci da è sempre la stessa: “Se voi mi dite
perchè alcuni genitori picchiano i figli, perchè la gente ubbidisce
alla pubblicità, ara i campi, mette i fertilizzanti chimici...
allora io vi rispondo...” Insomma, non fa girare l'economia quindi
nessuno spinge per diffonderla.
Le chiediamo alcuni
dettagli sulla costruzione e sul funzionamento, “Poi vi do il pdf”
ci dice senza l'ombra di strafottenza. É perennemente in corso,
questi sono per lei giorni di pausa, non vuole essere docente.
Mattoni, terra cruda.
Ecco i due componenti principali della rocket. Si brucia un
quantitativo di legna infinitamente minore che nelle stufe
tradizionali. Una parte della stufa è un grande e comodissimo (una
volta coperto con un telo e dei cuscini) divano riscaldato, si può
cucinare sia sulla piastra che nel forno... non riusciamo davvero ad
immaginare qualcosa di più intelligente, economico, ecologico,
furbo. Saviana fa corsi anche per imparare a costruire le rocket
stove. Proprio il giorno dopo riceve una telefonata mentre siamo in
campagna, è qualcuno che vorrebbe venisse a farne in una casa...
“Signora io fino al prossimo febbraio non ho spazi, se volete
venite a Orvieto, tra due mesi farò un corso a donazione lì,
proprio per imparare a costruire le rocket, e poi ve la costruite da
voi. Oppure se vuole le mando il pdf...” Saviana e le sue
conoscenze sono consciute e richieste.
Revel. Una bambina
magica, cresciuta in giro per il mondo. Prima di ascoltare i loro
racconti di famiglia notiamo fin dalla prima sera il rapporto
meraviglioso che Revel ha con sua madre e con Ati: è già una donna
e ancora una bambina, autonoma, sicura di sé, dolce e umile. Non è
piena di quelle frivolezze e di quegli atteggiamenti civettuoli e
smorfiosi che si notano e si trovano così spesso nelle tredicenni di
oggi. Da un anno va a scuola, l'ha chiesto lei, e sua madre ha
ridotto i viaggi per andarle incontro. Gli anni precedenti ha fatto
scuola a casa, preparatissima, ora è la prima della classe. É ricca
di quella curiosità verso il sapere di chi non è mai stato
obbligato a studiare, ma ha sempre avuto a disposizione tempo, libri,
intelligenza, stimoli, creatività: tutto ciò che serve per far
nascere e nutrire la cultura. Revel sceglie consapevolmente, non è
una cosa così diffusa né tra i tredicenni né tra gli adulti.
Sceglie di dire no grazie al nonno che le propone di regalarle il
tablet, non ne ho bisogno. Ed è contenta di aver trovato una
batteria in sostituzione di quella perduta nel suo vecchio cellulare,
senza schermo-dita-foto-internet, ma che le permette di telefonare in
caso di bisogno. Revel sceglie di non andare in gita a Milano con la
classe, perchè è una città che già conosco e non mi piace.
Scegliere, concentrarsi su quel che si sta facendo, star bene sia in
compagnia sia da soli, saper riconoscere e sviluppare le proprie
passioni, intessere dialoghi, giochi e relazioni umane con persone di
ogni età. Sono rare ragazzine tali.
La seconda sera dopo aver
colorato con Maelia, Revel e sua madre Saviana ci fanno una bella
sorpresa: spettacolo di danze tibetane. Nei mesi trascorsi a
Tenerife, Revel ha seguito ogni giorno dei corsi di danza tibetana,
ha imparato, è diventata addirittura maestra. E così sul tappeto,
davanti al divano, sotto ai nostri occhi stupiti e quelli divertiti e
coinvolti di Maelia, per un'ora le abbiamo viste danzare, un sorriso
leggero sul volto, le mani e le braccia che si muovevano delicate
nell'aria, ogni pezzetto di corpo seguiva il ritmo della musica
tibetana che usciva dal pc.
Ati si apre quando siamo
da soli con lui, racconta e racconta delle sue tante vite, nel suo
italiano quasi perfetto e ricco di accento argentino. Vent'anni di
banca davanti ai computer nella grande Buenos Aires, un ottimo
salario e una cravatta al collo. Poi quella cravatta è stata
tagliata, la causa è stata insperatamente vinta, la vita ha preso
un'altra piega, lui è andato a vivere in campagna vicino Cordoba.
“Quando vivi in città e hai un buon lavoro non ti accorgi di tante
cose. A me il mio lavoro piaceva, ma dopo tanti anni volevo cambiare.
In città si spende tanto, a me sembrava necessario soddisfare tanti
bisogni che ora non esistono nemmeno più per me. Ma quando sei in
una grande città e guadagni, allora sei in un circolo, guadagni e
spendi, e vai avanti così.” Ora Ati vive, fa il marito, il padre,
dipinge e costruisce, taglia le acacie e semina l'orto, cucina,
sorride, prende Revel sulle ginocchia e li senti parlare fitto in
spagnolo, ridere.
Il mattino dopo siamo
andati con Saviana alle terre che lei ama chiamare “la mia
pensione”: poco meno di un ettaro di terreno, centotrenta ulivi, un
poco di vigna, il lago di Bolsena sullo sfondo. Il terreno non lo
ara, non lo zappa, non lo concima, da ormai dieci anni. Il risultato
è uno strato di humus di almeno cinquanta centimetri, la terra è
così soffice che il trapianto del corbezzolo ha richiesto solo poche
e leggere zappettate. Gli ulivi non sono potati qui, Saviana taglia
solo qualche ramo durante la raccolta delle olive. É sicuramente un
gran risparmio di tempo non potare, e a quel che dice Saviana è un
atto superfluo la potatura in vista di un maggior raccolto. Il suo di
raccolto è ottimo e non è minore di coloro che potano e concimano
le piante ogni anno. Durante la mattinata tagliamo decine e decine di
ginestre nella zona di confine del suo campo con quello del vicino, è
una piccola striscia tagliafuoco che deve rimanere il più possibile
pulita. Le ginestre in caso di incendio sono le prime a prendere
fuoco e quindi le tagliamo rase alla terra con il seghetto.
Osserviamo Saviana seminare: getta sulla terra semi di lupino, di
trifoglio, e di graminacee miste. Molti semi li mangeranno uccelli e
insetti, altri attecchiranno e cresceranno. Il pranzo è fatto di
pane, frutta, formaggi e un ottimo succo di albicocca, nella casa
sull'albero costruita su un ulivo, guardiamo il lago. Serenità.
Nel pomeriggio si va
tutti insieme alle terme I bagnacci. C'é anche la loro amica Alice e
sua figlia Anita. Noi di film ne guardiamo ben pochi, ma poche
settimane fa ad Amaltea avevamo visto “Le meraviglie”, la storia
di una famiglia di apicoltori. E niente succede per caso... Alice è
la regista di quel film. Donna speciale, aggettivo che in questa
zona, ma anche in Toscana, usano per definire qualcosa di eccellente.
“Il mio vino non è buono, è speciale” dice il viticoltore, e
vuol dire il mio vino non è buono, ma è buonissimo! Dopo le terme
si va a cena a casa di Alice, anche con lei funzioniamo da subito, si
discorre, si ride, si beve un bicchiere di vino, si sta bene. E
Maelia assorbe tutti, lei che senza parole dice più di noi tutti,
lei che gioca e fa giocare, disegna le mani di Tashina come fossero
due tele. Tashina, amica e coabitante di Alice, giovane botanica. Con
Maelia è disponibile, amichevole, dolcissima. Tashina mentre parla
sorride, mentre ti ascolta ti guarda dentro, non tiene nascosto
nulla. A completare questo meraviglioso gineceo c'è Lima, cinque
mesi, un vello bianco e morbido, gli occhi azzurri. Saltella dietro
alle sue due mamme ovunque vadano, gioca con le bimbe, dorme davanti
a casa accucciata come un cane da guardia. Lima l'hanno trovata
agnellino di poche ore, mezza morta in un campo intorno a casa
durante un temporale novembrino molto forte, il gregge fuggendo
l'aveva lasciata lì. Tra biberon e amore si è salvata, ora è
grande e forte, bruca senza sosta. Sperano di riuscire a reinserirla
tra i suoi simili, anche se ormai l'imprinting ha fatto il suo
lavoro, e non sarà facile convincerla di essere una pecora.
Lima, la pecora-cane.
Andrea incontra Romano
mentre lega le vigne nel campo, li vedo ritornare insieme verso la
casa, entrambi sul piccolo trattore. Romano è contadino viticoltore,
un sorriso amaro sul viso, una vita troppo piena di stanchezza e di
lavoro. La sua cantina è semibuia, piena di botti, l'aria è pregna
di legno e di vino. Ci fa assaggiare i frutti del suo lavoro, un vino
buonissimo e lieve, che sa di vino e di null'altro, una vera bontà.
La nostra piccola damigiana è ora piena del suo nettare.
L'ultimo giorno in
Etruria lo trascorriamo a casa di Alice, Anita e Tashina. L'idea era
rimanere solo per un caffè e per un saluto, ma abbiamo portato i
cornetti e le paste, e i programmi sono cambiati un po'. Revel, Anita
e Maelia hanno giocato per ore nel tappeto elastico, saltato e
capriolato, letto storie, riso, guardato il cielo. Noi grandi si è
chiaccherato tanto, di vita, di studi, di viaggi, di progetti. Alice
è molto impegnata e altrettanto generosa, ci prepara un pranzo
luculliano. Cucina tutto lei, anche il pane. Quando è pronto ce ne
dà una forma, insieme a un vasetto del miele che fa suo padre.
Maelia riceve da Anita un vestitino da trilly campanellino di un
carnevale di un po' di anni fa, “A me non va più, usalo tu, è da
principessa!”, le dice Anita.
Ci si lascia in un
abbraccio con promesse di rivedersi presto.
Luoghi e persone
meravigliose, la promessa di tornare la facciamo anche a noi stessi.
La pecora cane :) finalmente un bel modo di passare il tempo: leggervi.
ReplyDeleteBuona partenza e buona vita. Vi saluta Yurub. Yurub dice che sei bella, un abbraccio e tanti saluti da parte di Yurub. Baci.